mercoledì 30 marzo 2011

Equivoci tecnologici

di Gian Carlo Sacchi (giancarlo.sacchi@cde-pc.it)

Le manovre messe in atto dall’attuale governo circa l’insegnamento tecnologico nella scuola italiana se da un lato cercano di incrementare l’uso degli strumenti soprattutto legati all’informazione e comunicazione, dall’altro ne impoveriscono la presenza, sia sul piano quantitativo, diminuendo le ore nella scuola secondaria di primo grado e abolendo l’indirizzo scientifico-tecnologico sperimentale nel secondo ciclo, sia qualitativo, lasciando languire uno spazio ricavato in precedenza nella primaria e abbandonando completamente la ricerca disciplinare e didattica nel settore.

Questo appare una contraddizione più grande se si pensa che in quella che viene ancora con maggiore efficacia chiamata scuola media, che rappresenta un po’ il sensore di tutta la politica messa in campo negli ultimi cinquant’anni su questo insegnamento, si è tolto l’aggettivo ‘tecnologica’ accanto al sostantivo ‘educazione’ e si è lasciata solamente la parola ‘tecnologia’.
All’educazione tecnica prima e tecnologica poi era stato affidato il ruolo di accompagnare la crescita dell’allievo a contatto con il mondo dell’artificiale, cercando di interpretarlo e di riprodurlo. Ma in tutti questi anni la materia ha sofferto della mancanza della così detta ricerca epistemologica e pedagogica di base e la sua evoluzione perlopiù è dovuta alla riflessione che i docenti stessi e le loro associazioni, con qualche rara presenza universitaria, hanno realizzato sull’efficacia del rapporto insegnamento-apprendimento.
Trasformare anche solo il linguaggio istituzionale ha voluto dire riportare il dibattito in alto mare, ma forse se ne sono accorti in pochi anche di coloro che ne hanno riformato il costrutto. L’educazione tecnologica andava di pari passo con una pluralità di settori mentre la tecnologia presupporrebbe un paradigma unitario di riferimento, cosa che a parte certi tentativi un po’ naif non pare all’orizzonte. E allora quali sono in concetti unificanti, gli epistemi, che la caratterizzano e sui quali i docenti possono impostare la loro attività didattica?

Le ultime scuole di specializzazione hanno assunto il paradigma ingegneristico di un insegnamento per “problemi e progetti”, che forse ha contribuito a selezionare in tal senso anche i candidati all’abilitazione, una tendenza che si è affermata spontaneamente, senza nessuna scelta a monte nell’ambito della babele di ben circa 22 titoli di studio che in teoria offrono la possibilità di accesso a tale insegnamento.
Sembra che si debba tener fermo il “metodo” liberalizzando i contenuti, senza contare che nella scuola superiore alle tecnologie corrispondono altrettante specializzazioni ed un orientamento precocemente professionalizzante, che continua a rispecchiare la vecchia e rinnovata istruzione tecnica, e che tolto di mezzo quell’unico indirizzo che tentava di licealizzare la tecnologia elaborandone un asse culturale per la formazione generale, fa si che si torni ad una sorta di più o meno nobile apprendistato. La tecnologia non assurge così a componente formativa innanzitutto per l’uomo e il cittadino, prerogativa fondamentale delle finalità unitarie della scuola media del 1962, ma rischia di tornare “all’arte del vil meccanico” (anche se dotato di LIM), ponendosi ancora, sebbene con sempre maggiori difficoltà sul piano della motivazione degli studenti e delle richieste di sempre maggiori competenze da parte del mondo del lavoro, come strumento di selezione a livello cognitivo e sociale.
Questo nodo non è stato risolto ed oggi mentre si tende ad abbandonare la discussione culturale per andare verso una visione più funzionalista degli apprendimenti ci si sposta verso un insegnamento con le tecnologie anche nelle ore di tecnologia, finendo per porla, come in passato, seppure modernizzata nei dispositivi, al servizio di altri ambiti disciplinari. Apprendere abilmente è più importante (?) di capire ciò che si fa e si usa, la strumentazione è talmente complessa che può diventare un vero e proprio contenuto di insegnamento e il veloce cambiamento non consente un adeguato “distanziamento critico”.
Ci si orienta verso il prevalere delle tecnologie della comunicazione, più trasversali, rispetto a quelle della produzione, considerate più professionalizzanti, ma il dato di fondo rimane quello della elaborazione di un pensiero tecnologico e di quello che ne deriva sul piano metodologico didattico e del curricolo formativo per i docenti.
Non è più il dibattito epistemologico, ma quello metodologico, che si pone di fronte all’insegnante di tecnologia: una didattica per problemi e progetti dunque tiene dentro sia l’esperienza tecnologica che l’alunno ha davanti ogni giorno, propone un apprendimento di tipo “costruttivista”, sviluppa un orientamento che può avere una ricaduta a livello personale e professionale.
Insomma alla ricerca degli epistemi, per definire una convenzione universale, si preferisce lavorare su quello che c’è, facendoci precedere dalle LIM nella ricerca, ma mantenendosi all’interno di ciò che è stato previsto da chi ha costruito l’artefatto.
C’è già tanto da fare per capire l’esistente che andare oltre, sviluppare cioè il pensiero divergente è veramente un lusso, e tirar fuori gli allievi dallo “smanettamento” sui dispositivi automatici è un problema. Confidiamo che i problemi e i progetti aiutino la metacognizione, la capacità di ricerca, oltre la prevedibilità e la producibilità degli interventi nel campo dell’artificiale.
Tutto ciò in senso più generale si può definire didattica laboratoriale, e il “dominio” tecnologico può offrire non solo i metodi attivi, ma anche i “modelli mentali”, che agiscono sulla costruzione dei concetti, aumentando la comprensione con un uso più moderato degli strumenti. Il laboratorio diventerà così un vero ambiente di apprendimento.
La presenza più diffusa delle LIM nelle scuole ha alzato l’asticella sia nell’uso trasversale, sia nella conoscenza tecnologica. Le due funzioni devono però contaminarsi e l’esito non può che espandersi in un senso o nell’altro a seconda delle finalità, ma ciò che conta è che la formazione tecnologica aiuti la persona a crescere, sia una componente sempre presente nelle modalità a cui riferirsi per entrare in contatto con la realtà. Questo significa vivere ed operare nella società contemporanea.

sabato 26 marzo 2011

intenzionalità e coscienza

I recenti incidenti nucleari verificatisi in Giappone e l’emergenza tuttora in corso inducono ad alcune riflessioni sulla Tecnologia. Le conoscenze scientifiche e tecnologiche di cui l’uomo dispone hanno consentito la progettazione di macchine talmente potenti da poter minacciare - in casi di gravità particolare - la sopravvivenza stessa della razza umana. Questo dato di fatto non va mai dimenticato e deve costituire un punto di riferimento fondamentale per qualunque riflessione intorno al progresso e al cammino di civilizzazione dell’umanità. Occuparsi in modo serio e responsabile di Tecnologia - e del suo insegnamento - significa anche a nostro avviso assumere questo orizzonte culturale e affrontare con intelligenza le complesse questioni che esso pone. Si tratta di cercare soluzioni per problemi non tanto di ordine strettamente tecnico quanto di ordine etico, filosofico, forse anche spirituale. E’ fondamentale che nell’insegnamento della Tecnologia si rafforzi e si estenda la dimensione critica e riflessiva, che non si esaurisca o affievolisca la necessità e l’urgenza della problematizzazione, della messa in discussione, della costante verifica. E che si eviti il rischio di una pura e semplice trasmissione di tecniche: schemi operativi e procedurali scollegati dalla contemporanea e cruciale ricerca di un senso.

Scriveva il grande Renè Berger nel suo saggio “Il nuovo golem” (1991):
Ogni tecnica, anche se indica un insieme di procedimenti, non si riduce all'efficacia del fare; la tecnica infatti implica una sorta di conoscenza, la quale, seppur vagamente formulata e non meno vagamente sentita, sfocia su una forma di intenzionalità, su un rudimento di coscienza. Così l'innovazione” tecnica è gravida di una “visione” che emerge, si afferma, si diversifica man mano che si sviluppano usi nuovi, spesso inattesi, a volte addirittura imprevedibili.

venerdì 25 marzo 2011

Un contributo di Giovanna Tafuri

Riporto un brano di un interessante articolo di Giovanna Tafuri di qualche anno fa. Il testo completo si può leggere a questo indirizzo: http://www.disced.unisa.it/Quaderni/Qua_Vol_04-1994/Q_V04_231-238.htm

Sono assolutamente consapevole, inoltre, che almeno un indirizzo tra quelli che verranno definitivamente codificati non potrà non prendere in esame l'apparato tecnologico che tende a divenire quasi una seconda natura, come intuì nei primi decenni di questo secolo Maria Montessori[9]. Un'attenzione puntuale a questo indirizzo mi sembra oltremodo importante per due ordini di ragioni. La prima è - vorrei dire - di ordine "termostatico". Uso un termine introdotto nel campo pedagogico da Neil Postman, il quale ritiene che la scuola debba agire come strumento di regolazione della vita sociale. In questo caso la scuola dovrebbe "raffreddare" una "temperatura sociale" che - gli pare - potrebbe diventare incandescente[10]. Nel senso che alcuni sviluppi tecnologici (penso alle tecnologie che riguardano le ricerche di fisica nucleare o, più di recente, di bio-ingegneria) potrebbero influire negativamente sulle stesse possibilità di sopravvivenza dell'uomo e della "nicchia ecologica", come oggi si dice, all'interno della quale egli è collocato. Lo sviluppo tecnologico deve poter essere coniugato con il Lebenswelt, del quale esso dovrà divenire un fisiologico prolungamento in un ottica di Entlastung del lavoro dell'uomo. La seconda si riferisce alla "capacità" che hanno assunto i nuovi sviluppi tecnologici di interagire con la stessa intelligenza umana; in alcuni casi qualcuno ritiene che possono divenire concorrenti temibili della stessa intelligenza dell'uomo. Vorrei meglio specificare questo punto, perché mi sembra particolarmente incisivo ai fini del profilo di un progetto pedagogico che sappia confrontarsi con le frontiere più avanzate dello sviluppo scientifico e tecnologico. La scuola (e più precisamente la superiore) non potrà esimersi, infatti, da dare risposte e da indicare percorsi in rapporto all'orientamento di senso da offrire all'azione umana che interagisce con o si esprime a partire da un sistema di oggetti che sono governati da programmi che prevedono possibilità di retroazione e sulla base di una ricca memoria (di macchina o di programma), anche adeguare - in tempo reale - il "comportamento" dell'uomo in rapporto a input che vengono dall'esterno. Mi pare che l'homo tecnologicus debba rendere eunomico - ben regolato - il suo rapporto con gli oggetti intelligenti, di cui il suo mondo sta divenendo sempre più ricco. Una scuola di questo tipo potrebbe insieme garantire la migliore utilizzazione di quel mondo artificiale e astratto creato dall'uomo, evitando nel contempo la solitudine e l'anomia che sono stati i ricorrenti segni distintivi della società contemporanea.
La tematica della tecnologia non mi fa dimenticare certamente l'ambito umanistico, ma questo mi pare che emerga come riscoperto - espressione di una vitalità nuova - quando si sia confrontato con gli sviluppi scientifici e tecnologici. Non c'è alcun umanista che voglia essere insieme massimamente rigoroso e capace di interagire in maniera proficua con altri studiosi della stessa disciplina, sia pure operanti in ambiti nazionali differenti, che non utilizzi alcune volte anche complessi apparati informatici o strumenti logico-matematici, in alcuni casi estremamente raffinati e spesso studiati appositamente - "mirati" si dice in gergo - per i suoi studi. Mi pare sia opportuno ricordare i vantaggi ottenuti da una scienza come la linguistica, per esempio, dall'introduzione diffusa dell'informatica e dall'arricchimento dell'iconografia e dell'iconologia quando ad esse si applichi il bagaglio di conoscenze sviluppato in una scienza nuova: l'intelligenza artificiale. Si può dimostrare così che un'attenzione di tipo estetico spinge all'azione gli scienziati degni di questo nome. Per usare una frase icastica è fondamentalmente il desiderio di esprimere la bellezza che "spinge all'azione": la bellezza matematica probabilmente prima di ogni altra e poi quella geometrica e quindi tutte le altre all'interno delle quali si cimenta lo spirito umano. Questa tensione verso il bello, il desiderio di fruire anche in ambito scientifico di questo piacere può ad ogni pie' sospinto essere ritrovato dagli studiosi di storia del pensiero filosofico (disciplina che deve essere ben presente nel triennio della scuola secondaria superiore), ma una tensione dello stesso tipo informa nella grande maggioranza dei casi anche letterati ed artisti, il cui pensiero e le cui opere dovranno continuare ad essere presenti nella mente e nel cuore dei nostri studenti[11]. Sono questi luoghi teorici, ripeto, questa lezione ci viene confermata dai progettisti dei modelli scolastici che si sperimentano nei Paesi più avanzati, dai quali emergerà, poi, ogni tensione scientifica innovativa ed ogni risposta a quelle crisi nella continuità scientifica che Kuhn con tanto rigore ha approfondito e di cui è stato capace (almeno per l'Occidente) di fare la storia.

sabato 12 marzo 2011

Uno sguardo sul mondo digitale


La rivista Mondo Digitale, edita dalla federazione AEIT (www.aeit.it) si distingue per l'alto livello dei suoi contributi. Segnalo in particolare tre articoli del prof. Giuseppe O. Longo di cui riporto anche il breve abstract.

Uomo e tecnologia una simbiosi problematica (2005)
L'importanza della tecnologia nella definizione dell’uomo è sempre più evidente, ma fin dalla sua comparsa la nostra specie si è ibridata con gli strumenti che costruisce: in realtà homo sapiens è sempre stato homo technologicus, simbionte di uomo e tecnologia in perpetua trasmutazione. Parte dell'umanità sembra destinata ad una profonda trasformazione culturale, epistemologica e perfino fisiologica. Ma la rapidità del cambiamento, favorito in particolare dalla tecnologia dell'informazione, minaccia il nostro equilibrio biologico ed emotivo e lacera le componenti etiche ed estetiche tradizionali.

Il computer tra complessità e narrazione (2008)
Gli uomini sono creature della narrazione: ciascuno di noi racconta e si fa raccontare un seguito di storie nel tentativo di dare un senso al mondo e alla sua presenza nel mondo. A ben guardare, l’arte, il mito, la filosofia e la stessa scienza sono tutte forme di narrazione. Anche il computer, ultimo arrivato sulla scena, si inquadra in questo contesto: quali storie ci racconta questa macchina straordinaria?
(puoi leggere l'articolo qui)

Nascere digitali verso un mutamento antropologico (2009)
Siamo entrati nell’era digitale, caratterizzata da una generazione di giovani (i “nati digitali”) che, formatisi sulle nuove tecnologie, le usano con grande disinvoltura e con sovrano opportunismo. Questa generazione interagisce con le strutture tradizionali, in particolare con la scuola, in modi nuovi, che investono tutti gli aspetti dell'individuo. L’uso precoce dei dispositivi digitali porta a connessioni cerebrali diverse da quelle dei bambini abituati alla lettura. Ciò comporta cambiamenti epistemologici radicali, che investono tutti gli aspetti della comunicazione, della cultura e della società.
(puoi leggere l'articolo qui)